Approda a Cosenza, dopo aver viaggiato su e giù per l’Italia, il fascicolo messo su per spezzare politicamente le gambe al movimento No Global che, con tutti i suoi limiti, provò a mettere in discussione le politiche mondiali.
Dopo un’articolata indagine condotta dai carabinieri del ROS e dagli investigatori della Digos, tredici militanti di mezza Italia sono stati rinviati a giudizio. Sono tutti accusati d’aver fatto parte di un’associazione sovversiva denominata “rete meridionale del sud ribelle”, costituita formalmente a Cosenza il 19 maggio del 2001.
Al “sodalizio” avrebbero aderito gruppi antagonisti meridionali uniti dall’obiettivo di turbare l’esecuzione delle funzioni del governo italiano, sovvertire violentemente l’ordinamento economico costituito nel nostro Stato, sopprimere la globalizzazione dei mercati economici, alterare l’ordinamento del mercato del lavoro. Attentando in sostanza agli organi costituzionali la “rete meridionale del Sud Ribelle” sarebbe dovuta progressivamente diventare una vasta associazione sovversiva senza preclusioni all’uso della violenza. I componenti del gruppo, controllati per mesi da ROS e Digos, avrebbero partecipato alle manifestazioni di Genova (nel luglio 2001) prendendo parte agli scontri con le forze dell’ordine e alle devastazioni. La supposta associazione avrebbe inoltre organizzato, il 2 luglio del 2001, l’invasione delle agenzie di lavoro interinale di Taranto, Cosenza e Napoli. Il gruppo, infatti, secondo la ricostruzione avrebbe operato attraverso tre diverse “cellule” attive in Calabria, Puglia e Campania. Le intercettazioni telefoniche e ambientali, i pedinamenti, i controlli di alcuni siti internet avrebbero consentito di accertare l’esistenza di una vasta rete di contestatori che si stava preparando a scendere in piazza in occasione del vertice internazionale fissato a Napoli dal 15 al 17 marzo 2001 a cui prendevano parte i primi ministri delle nazioni più industrializzate e le delegazioni di 122 Paesi. Gli attivisti dell’associazione – a parere del PM Fiordalisi – parteciparono alle manifestazioni e agli scontri, ripetendo nel luglio successivo l’exploit anche a Genova.
La vastità dell’operazione, lo sproporzionato numero di reparti dispiegati per l’occasione e le caratteristiche dei penitenziari in cui applicare le ordinanze di custodia cautelare fanno pensare da subito che i diciotto arresti e le cinque notifiche di misure domiciliari avvenuti fra il 15 ed il 16 Novembre 2002 non siano il “solito” abbaglio giudiziario camuffato da operazione antiterroristica ma, piuttosto, una precisa rappresaglia nei confronti di un intero movimento.
La vera radice dell’inchiesta risale al 10 aprile 2000, anno in cui vengono fatti recapitare in uno stabilimento Zanussi a Rende (provincia di Cosenza) delle rivendicazioni a firma NIPR: Nuclei di Iniziativa Proletaria e Rivoluzionaria. Il volantino è caratterizzato da un linguaggio e una simbologia (una stella a 5 punte sotto la sigla) tipica del terrorismo rosso degli anni ‘70. Questa fantomatica sigla – su cui mai si farà chiarezza – rivendica una serie di piccoli attentati incendiari a opera del movimento anarchico. L’inchiesta sul Sud Ribelle ed i suoi componenti parte, quindi, molto prima di Genova e di Napoli 2001, quando il ritrovamento di questo volantino fa arrivare nel capoluogo bruzio il fior fiore dell’intelligence italiana che, brancolando praticamente nel buio, altro non fa che soffermarsi sulla cosiddetta “area antagonista” cittadina fatta di centri sociali, associazioni, ultras etc., creando un immaginifico collegamento tra realtà profondamente diverse.
Il fascicolo presentato dal PM Domenico Fiordalisi, 359 pagine di accuse, viene respinto dalle Procure di Genova, Venezia e Napoli e infine accolto dalla Procura di Cosenza. In ultima analisi, tutta la tesi accusatoria risulta costruita intorno a intercettazioni ambientali e telefoniche, spesso raccolte al di fuori della procura inquirente e, quindi, con un ampio margine di discrezionalità per le forze dell’ordine. Il tutto, naturalmente, reinterpretato secondo la tesi dell’associazione d’intenti. Una formula accusatoria che è stata in seguito riproposta in numerose altre circostanze e presso le Procure di mezza Italia, dimostrando con ancora più evidenza che in passato il valore di “esperimento giuridico” del processo di Cosenza. L’impianto accusatorio – basato sui famigerati articoli di legge 270 e 270bis – ha rappresentato, in tal senso, un vero e proprio precedente giuridico, sulla base del quale oggi vengono contestati reati associativi a qualunque realtà politica si muova al di fuori dei binari predisposti dal “regime democratico”.
Le pene previste per i reati contestati vanno da dodici a quindici anni di carcere.
In tal modo, qualunque forma di lotta sociale diventa perseguibile o quanto meno, controllabile: se anche le accuse si esaurissero con un nulla di fatto, questi processi avrebbero comunque raggiunto il risultato di tenere sotto pressione i soggetti politici contro cui sono costruiti. Una forma di controllo sociale nota, ormai resa pratica comune dalle diverse Procure. Un’estensione concreta del carcere, fuori dal carcere, secondo un sistema di controllo sociale diffuso e decentralizzato che sembra essere, ormai, la regola di ogni “democrazia” moderna.
Un’ordinanza del GIP, che aveva firmato il mandato di cattura, dispone i domiciliari per quattro persone e ne rimette due in libertà con il pretesto dell’abiura; una mossa che alza i toni della stampa locale e nazionale alla vigilia del corteo. Restano in carcere in sette.
Il 16 di novembre in tutta Italia, si organizzano, assemblee, presidii e mobilitazioni.
Sabato 23 novembre 2002 a Cosenza scendono in strada quasi 100.000 persone. Oltre a rimettere in libertà tutti gli arrestati, la sentenza demolisce dalle fondamenta l’impianto accusatorio del provvedimento. “Esprimere il dissenso non è reato” è il messaggio cardine delle motivazioni della sentenza.
Ed è dell’aprile 2004 la richiesta di rinvio a giudizio per tredici degli indagati, due dei quali completamente estranei fino a quel momento a tutta la vicenda giudiziaria e citati per la prima volta dal Fiordalisi nella memoria del luglio 2003. Le posizioni di altri quarantuno indagati vengono nel frattempo archiviate. Fiordalisi aggiunge il reato di “associazione a delinquere”: quindi, non solo sovversivi e cospiratori, ma anche delinquenti.
Il 24 aprile 2008 l’assoluzione di primo grado a Cosenza.
20 luglio 2010 l’assoluzione nel processo d’appello a Catanzaro.
21 giugno 2012 l’assoluzione nella sentenza di Cassazione a Roma.
Quasi dieci anni passati ad assistere a uno “spettacolo di teatro” delle giornate di Napoli e Genova 2001 in cui il finale era già conosciuto da tutti.
I numeri del processo: 20 i compagni arrestati il 15 novembre del 2002. 17 i giorni di carcere nelle carceri speciali di Trani, Latina e Viterbo. 359 le pagine dell’ordinanza presentata dal PM Domenico Fiordalisi. Oltre 50.000 pagine di materiale cartaceo raccolto nei due anni d’indagine (2000-2002). 13 i compagni rinviati a giudizio. 3506 i giorni per i tre gradi di giudizio.
La vicenda del Sud Ribelle e del processo di Cosenza è di drammatica attualità quando si pensa alle misure restrittive e di limitazione arbitraria della libertà che vengono disposte recentemente nei confronti di moltissimi compagni e compagne per limitare la loro agibilità politica e affliggere la loro vita con la sola motivazione della “pericolosità sociale”: fogli di via, obblighi di permanenza, DASPO, e chi più ne ha più e metta. Sottrarre la valutazione dei comportamenti alla legge per disporne in piena discrezionalità è una strategia che si va consolidando e che sta avendo gravi ripercussione sulla possibilità di azione politica e di pratica del conflitto in tutta italia e oltre.
Per maggiori informazioni e dettagli:
- Pagina dedicata al processo di Cosenza del sito della segreteria legale recuperato e archiviato da SupportoLegale
- Le pagine del vecchio sito di SupportoLegale (pre 2006) dedicate al processo di Cosenza
[ultimo aggiornamento luglio 2021]